29 agosto 2013

Il mito degli antiossidanti

La teoria dell'invecchiamento frutto del danno ossidativo, detta anche dei radicali liberi, può essere attribuita a Denham Harman, che nel 1945 rimase affascinato da un articolo sulle potenziali cause dell'invecchiamento letto su una copia del "Ladies'Home Journal"comprata dalla moglie.
All'epoca Harman aveva 29 anni, lavorava come chimico alla Shell Development e non aveva molto tempo per riflettere sulla questione. Ma nove anni dopo,laureatosi in medicina, fu assunto come ricercatore associato all'università della California a Berkley, dove iniziò a riflettere più seriamente sulla scienza dell'invecchiamento. E un mattino, mentre sedeva nel suo ufficio, ebbe una sorta di illuminazione: l'invecchiamento deve essere guidato dai radicali liberi.
Supponiamo che i radicali liberi si accumulino durante l'invecchiamento senza necessariamente esserne la causa: ma allora quali effetti hanno? Finora la domanda ha potato ipotesi più che a dati definivi. "I radicali liberi fanno effettivamente parte del meccanismo di difesa" sostiene Harman. In alcuni casi queste molecole potrebbero essere prodotte in risposta al danno cellulare, come segnale ai meccanismi di difesa propri dell'organismo. In questo scenario, i radicali liberi sarebbero una conseguenza del danno collegato all'età e non solo alla causa. In grandi quantità, tuttavia, afferma Harman, i radicali liberi possono provocare anche danni.
L'idea che danni minori possano aiutare l'organismo a resistere a danni maggiori non è nuova. In effetti, è così che i muscoli si sviluppano come risposta a un aumento costante della fatica cui sono sottoposti. Molti atleti della domenica,d'altro canto, hanno imparato a proprie spese che sottoporre improvvisamente il corpo a un brusco aumento di attività fisica, dopo un'intesa settimana seduti sulla scrivania, è quasi sempre un ottimo modo per provocare strappi ai polpacci e stiramento ai tendini, due lesioni serie fra le molti possibili.
Nel 2002 ricercatori dell'Università del Colorado a Boulder hanno esposto brevemente dei vermi al calore o a sostanze chimiche che inducevano la produzione di radicali liberi dimostrando che ciascuno di questi fattori di stress ambientale accresceva la capacità dei vermi di sopravvivere a danni più gravi in un secondo tempo. Questi interventi aumentavano l'aspettativa di vita dei vermi anche del 20%, ma non è chiaro in che modo influissero sui livelli generali di danno ossidativo perché i ricercatori non hanno stimato questi cambiamenti. Nel 2010, ricercatori dell'Università della California a San Francisco e della Pohang University of Science e Tecnology in Corea del Sud, hanno pubblicato un articolo sulla rivista"Current Biology" in cui affermano che alcuni radicali liberi attivano un gene chiamato HIF-1, responsabile diretto dell'attivazione di molti geni coinvolti nei meccanismi di riparo cellulare, fra cui uno che concorre a riparare il DNA mutato.
I radicali liberi potrebbero anche spiegare in parte perchè svolgere attività fisica fa bene. Per anni i ricercatori hanno ipotizzato che l'attività fisica fosse salutare a dispetto della produzione di radicali liberi, non grazie a questi ultimi. Ma in uno studio pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences"nel 2009 Michael Ristow, docente esperto in nutrizione alla Friedrich Schiller Universiy di Jena, in Germania, assieme ai suoi colleghi, ha confrontato il profilo fisiologico di sportivi che avevano assunto antiossidanti con quello di atleti che non lo avevano fatto. Ristow aveva osservato che gli sportivi che non avevano assunto vitamine godevano di una salute migliore; fra l'altro, gli atleti che non avevano assunto supplementi mostravano meno indizi di un possibile sviluppo di diabete 2.
Uno studio condotto da Beth Levine, microbiologa dell'University of Texas Southwestern Medical Center, ha dimostrato che l'attività fisica fa impennare anche un processo biologico chiamato autofagia, in cui le cellule reciclano pezzi di proteina consumati e altri frammenti subcellulari, vale a dire lo strumento usato per digerire e smantellare le vecchie molecole: i radicali liberi. Per complicare le cose ancora un po', tuttavia, la ricerca di Levine indica che l'autofagia riduce anche livelli generali di radicali liberi, e suggerisce che le tipologie e le quantità di radicali liberi in parti diverse della cellula possono giocare ruoli diversi, a seconda delle circostanze.

Se è vero che i radicali liberi non sono sempre dannosi, allora può darsi che i loro antidoti, gli antiossidanti, non facciano sempre bene: una possibilità preoccupante, dal momento che il 52% dei cittadini degli Stati Uniti assume quotidianamente dosi consistenti di antiossidanti come vitamina A e beta-carotene, sotto forma di supplementi multivitaminici. Nel 2007 il"Journl of the Medical Association" ha pubblicato una revisione sisematica di 68 trial clinici che ha concluso che l'assunzione di antiossidanti non riduce il rischio di morte. Quando gli autosi si sono limitati ad analizzare soltanto trial per cui vi erano minori probabilità di deviazioninei risultati- quelli in cui l'assegnazione dei partecipanti a un gruppo braccio sperimentale era chiaramente casuale e in cui nè i ricercatori nè i partecipanti saprevano che avrebbe assunto che cosa- hanno scoperto che alcuni antiossidanti erano correlati a un maggior rischio di morte.
Diverse organizzazioni statunitensi, fra cui l'American Heart Association e la American Diabetes Association, raccomandano oggi di non assumere integratori a base di antiossidanti se non per curare un'avitaminosi ben diagnosticata. "I lavori presenti in letteratura stanno fornendo prove crescenti che questi integratori- in particolare a elevate dosi- non sortiscono necessariamente gli effetti benefici che si pensava", dice Demetrius Albanes, ricercatore Senior al Nutritional Epidemiology Branch del National Cancer Institute. Invece, aggiunge, "siamo diventati profondamente consapevoli dei potenziali svantaggi".
Senza ulteriori prove, comunque, è difficile immaginare sia una situazione in cui gli antiossidanti possano cadere completamente in disgrazia sia una situazione in cui gli antiossidanti possano cadere completamente in disgrazia sia una situazione in cui la maggior parte di coloro che studiano l'invecchiamento sia un processo assai più complesso e intricato di quanto immaginasse Harman quasi sessant'anni or sono.
Gems, per esempio, ritiene che le prove puntino verso una nuova teoria secondo cui l'invecchiamento deriverebbe dall'eccessiva attività di certi pocessi biologici coinvolti nella crescita e nella riproduzione. Ma qualunque sia l'idea-o le idee- per cui propendono i ricercatori mentre vanno avanti nelle loro ricerche, "il continuo processo di scavo degli scienziati che esaminano i fatti sta spostando il settore verso orizzonti un po' più strani ma un po' più reali", dice Gems, "e un'inattesa boccata d'aria fresca".


Melinda Wenner Mojer
Le scienze 
Aprile 2013